Concerti e incontri con musicisti e culture locali, in un confronto tra antico e moderno. Il pianista di Ruvo racconta il suo recente tour in Giappone. Organizzato dall'istituto Italiano dl Cultura dl Osaka, prodotto da Domenico Coduto per “musica e altrecose” e promosso con Il sostegno di Puglia Sounds Export. si è concluso nei giorni scorsi il tour giapponese del pianista e compositore dl Ruvo Livio Minafra. Ospitiamo qui dl seguito un suo «diario» giapponese. In Giappone c’ero già stato nel 2001 per una serie di concerti, c’erano Rava con l’Electric Five, mio padre col Pino Minafra Sud Ensemble e c’era anche il maestro Gaslini. Yokohama sembrava New York: grattacieli, modernità ed io che mi aspettavo i templi, i kimoni, le case basse. A Fukui suonai in piano solo e ricordo che Rava mi volle parlare. Mi disse che avevo delle belle idee e che dovevo andarmene dal mio paese per trasferirmi a Berlino Parigi Kopenaghen. Solo li avrei raccolto molti stimoli e sarei cresciuto. Lo ringraziai e cercai di spiegargli che per me creatività significava vivere in un paese antico come Ruvo dove la vecchina vestita a lutto o il profumo di mosto a settembre per tutto il paese, sono per me ispirazione. Vivo ancora a Ruvo di Puglia e talvolta mi chiedo se oggi la mia carriera sarebbe stata diversa se avessi seguito il suo consiglio. Tredici anni dopo sono tornato in Giappone per una tournée di otto concerti con il mio piano solo. E attraverso la mia musica ho raccontato i campanili che a mezzogiorno annunciano l'orario, l’influenza araba, il treno della Bari Nord che da piccolo aspettavo fermo al passaggio a livello cercavo di indovinare se sarebbe arrivato da sinistra o da destra Tutto questo è contenuto nei miei dischi e insieme al lavoro prezioso di Domenico Coduto (Musica e altre cose). il con- tributo di Puglia Sounds Export e il lavoro del Dott. Stefano Fossati direttore dell’Istituto Italiano di Cultura di Osaka mi hanno riportato in Giappone. E’ difficile raccontare il mio Giappone; a volte mi sembrava di vivere in uno di quei cartoni animati che guardavo da piccolo: il tatami a terra, le scodelle di riso e miso, l’inchino per salutarsi, le lanterne rosse e bianche fuori dei ristoranti. E poi ci sono i miei concerti. Abbiamo cominciato da Nara nel Tempio Buddista Chugu-Ji. Per la prima volta, durante un mio concerto, non ero l’unico senza scarpe, ma tutti erano lì a piedi scalzi ad ascoltarmi. Il concerto è stato preceduto dalla cerimonia del thé e poi da una intima preghiera buddhista che ha ispirato anche il mio piano solo. E’ nato proprio qui un nuovo brano, The prayer in the temple. Il giorno dopo siamo volati a Okinawa, un'isoletta del Pacifico occupata quasi per metà dalle basi militari degli americani. Il concerto si è svolto nella Garaman Hall e oltre al mio piano solo era previsto un incontro con una band «The element of the moment»: abbiamo trovato subito la giusta sintonia ed il concerto è stato un trionfo. Di nuovo in viaggio, destinazione Kumamoto, nell’isola di Kyushu, città modernissima. Concerto nel Café Morricone, uno dei posti più trendy della città, il pubblico ha apprezzato e si è divertito molto con Pioggerellina di Bogotà quando li ho diretti mentre «suonavano» tintinnando le chiavi di casa. Poi di nuovo a Osaka, nell’atmosfera intima e fumosa dello storico jazz club cittadino Mr Kelly’s: il proprietario è rimasto un po’ frastornato dalla mia chiusura quando ho chiesto ad alcuni ospiti di «preparare» il pianoforte ponendo nella cordiera i ninnoli che porto sempre con me. Il giorno dopo concerto a Kobe, al Chicken George, uno dei più antichi Club della città: accoglienza calda, pubblico eccitato; pare che negli Ultimi vent’anni qui non abbia mai suonato un italiano. Il concerto è filato via fluido ed energetico per un pubblico abbastanza esperto. Poi in hotel per gli ultimi due concerti. Kyoto è un altro mondo, qui ci sono le geiko che puoi incontrare nel pomeriggio, i templi sono tantissimi e invitano alla spiritualità: buddismo shintoismo e zen si incrociano meravigliosamente. Ho suonato al Blu Eyes e incontrato anche due musicisti locali, Daisuke Kiba, suonatore tradizionale di Kokyu e Tagashi Mori, un batterista «elettronico» che porta avanti un'affascinante ricerca ritmica e sonora. L’improvvisazione ha unito spontaneamente questi mondi lontani. Autografi e foto ricordo post concerto e poi via per l’ultìma tappa a Nagoya. Siamo arrivati frastornati, cambiare città quasi ogni giorno e muoversi per tutto il Giappone occidentale è faticoso, anche quando macini centinaia di chilometri sui velocissimi treni Shinkansen Non poteva esserci fine migliore al tour: suonare nel tempio Kosho-ji, bellissimo e affascinante, accolti dalla statua di un enorme Buddha. Lavate le mani come rituale, tolte le scarpe e siamo entrati: tatami, inchini, profumo di incenso e poco dopo l'ultimo concerto. Suonare in Giappone è stata un’esperienza culturale e mistica, è una terra in divenire, ma che difende anche le proprie radici. A proposito, pare che ci torno qui, nel 2016. Incrocio le dita, l’Istituto Italiano di Cultura di Osaka e Domenico Coduto ci stanno già lavorando. Arigatou gozaimasu, Giappone! |