Da circa vent'anni in terra d'Africa. Suor Maria Mazzone, nasce a Ruvo di Puglia il 7 settembre 1949, da una famiglia di piccoli proprietari terrieri e trascorre la sua prima infanzia nella nostra ridente cittadina. All’età di 15 anni suor Maria inizia a “scoprire il Signore” e più tardi all’età di 19 anni decide di entrare nel convento delle Suore Salesiane. Completa i suoi studi abilitandosi all’insegnamento nella scuola materna e svolge la sua missione per quindici anni in Italia. Ma la sua vocazione è sin da subito indirizzata all’evangelizzazione delle popolazioni africane. Nell’Africa, Suor Maria ha costruito il suo sogno di “missionaria”, non dimenticandosi mai della sua Ruvo che ricorda con fierezza ed emozione. Nell’enciclica Redemptoris Missio, Giovanni Paolo II scriveva che: “Il vero sviluppo dell’uomo viene da Dio e deve riportare a Dio”. Di questo è profondamente convinta anche Suor Maria, che ci confida come ella stessa si senta “immersa in un disegno provvidenziale”. È il ricamo dell'amore di Dio: noi vediamo solo alcuni nodi della trama, ma quell'amore non ci abbandona mai. City of Hope, infatti, non è un semplice alloggio dove vengono ospitati derelitti, emarginati, disagiati, orfani. In quel posto meraviglioso, vive prolifico il segreto di una sollecitudine fidente e operosa, che non si lascia avvilire e turbare dall'impazienza, dal countdown del male, dentro di sé, intorno a sé. Tutto è dono, tutto è benedizione. E gli occhi cerulei e luminosi di suor Maria, vibrano nella speranza del suo sorriso!
Da quanto tempo è missionaria nello Zambia? Cosa ha trovato di diverso nelle popolazioni di quella terra? Sono in Zambia da 18 anni e da allora ho notato la profonda “sete” di fede di questa popolazione. La loro è una vita semplice, alle volte fatta di stenti senza certezze e senza calcolo, ma con un abbandono molto grande nel Signore e totale nella fede. L’innata gioia, insita nel Dna della gente ha spesso il sopravvento sulla pesante sofferenza. Il popolo dello Zambia è molto accogliente e rispettoso, disposto continuamente al dialogo inter-culturale.
La sua missione in una terra così afflitta dalla povertà continua oggi col progetto “City of Hope”. Come è nato? Quali sono stati i risultati finora raggiunti? «City of Hope», nasce undici anni fa dal sogno mio e della consorella Suor Jerardine, di accogliere ragazze svantaggiate. Nel 1994 dopo una richiesta formale al Governo dello Zambia, ci viene concesso un appezzamento di terreno da adibire alla nascente struttura. Abbiamo iniziato sin da subito con tre importanti opere: una scuola, alcuni corsi professionali e una casa per la gente senza dimora. Ma l’iniziativa che ha riscosso maggior “successo” e che ci vede particolarmente impegnate è stata la nostra casa, che accoglie ragazze sfuggite alle cruente violenze fisiche subite in età adolescenziale da sconosciuti o dai loro stessi genitori. Queste fanciulle hanno, purtroppo, problemi psicologici molto gravi ed il lavoro più difficile per noi è quello di far loro riscoprire il sapore della vita, attuare una sorta di “rinascita” spirituale che riesce a reinserirle nel contesto sociale del paese. Questo è il nostro compito più arduo.
In così breve tempo avete raggiunto ragguardevoli obiettivi. Come c’è riuscita? Cosa intende ampliare in futuro il progetto? Quali sono le vostre fonti di sostentamento? Non è tutto merito mio; City of Hope rimane un grande dono di Dio. Gli obiettivi futuri sono tantissimi. La scuola secondaria oggi permette di conseguire il 9° grado di istruzione, noi vorremmo arrivare in breve tempo al 12° grado. Per ciò che concerne i corsi professionali, vorremmo aggiungere nuove attività e potenziare quelle tuttora esistenti. Ora, ad esempio abbiamo all’attivo un corso di informatica molto rudimentale che vorremmo adattare alle nuove spinte tecnologiche di cui anche lo Zambia ha bisogno. E’ anche attivo anche un corso di cucito ed uno di cucina. In futuro, amplieremo la struttura della “casa” al fine di ospitare quante più ragazze maltrattate e violentate all’interno della nostra accogliente struttura. Il nostro finanziamento è anch’esso un grande dono di Dio. Non abbiamo entrate regolari da nessuna organizzazione umanitaria. La FAO e lo Stato ci offrono un po’ di cibo, che serve a sostenere la mensa quotidiana per gli studenti della scuola. Il resto proviene da un circolo virtuoso di adozioni a distanza, da amici e benefattori. Ci sono anche tantissimi volontari che lavorano con noi per il proficuo sostentamento del progetto.
«City of Hope» oltre ad aiutare i diseredati in difficoltà, le donne vittime di violenza e gli orfani, ha contribuito in qualcuno nella scoperta del proprio “cammino vocazionale”? Certamente. Abbiamo già 20 suore zambiane, 11 che hanno già preso i voti perpetui e 8 che hanno studiato o che stanno studiando in Italia presso la nostra Università. Ogni settimana abbiamo ragazze che partecipano al nostro programma “Live and see” (Vivi e osserva, ndr.), che serve a garantir loro un sicuro futuro occupazionale non tralasciando il cammino umano e spirituale.
Dall’alto della sua ventennale esperienza missionaria, qual è la “ricetta” vincente per scongiurare la povertà? La povertà deriva essenzialmente dalla mancanza di educazione, intesa come avviamento al mondo moderno che cambia, quindi tutto ciò che riguarda l’evoluzione di una popolazione, in campo economico, tecnico, umano. Ma c’è anche e soprattutto una povertà valoriale dovuta alle anguste prospettive di vita di questo popolo. La gente vive senza assaporare la vita, lasciandosi andare ad un esistenza triste e malinconica. Ecco perché l’evangelizzazione deve essere anteposta all’educazione. Gesù Cristo entra nel cuore dell’uomo; l’umanizzazione dell’individuo nasce dal suo interno, attraverso l’educazione e i valori. In concreto, tutto quello che è sviluppo nel mondo moderno, compresi i diritti dell’uomo, provengono dalla parola di Dio, dall’esempio di Cristo. Come sosteneva saggiamente Madre Teresa: “la prima povertà dei poveri e di non conoscere Cristo”.
Qual è il ricordo più caro di Ruvo e dei ruvesi che porta sempre nel suo cuore? Ammiro la mia città, perché è un paese molto generoso, fatto di gente schietta e sincera, che alle volte appare un po’ burbera, ma riesce comunque con innata genuinità ad indirizzare le sue “energie vitali” al bene, alla magnanimità ed a scopi molto alti e nobili.
Quando è stata la sua ultima visita nella nostra città e quando pensa di tornare? La mia ultima visita a Ruvo risale a Giugno 2005. A noi missionari è concesso far ritorno in Italia ogni quattro anni. Quindi sarò di nuovo a Ruvo fra tre anni, nel 2009.
Cosa ha trovato di diverso rispetto al passato? Anche se ho girato veramente poco, ho avuto la sensazione che vi sia una generale tendenza a cacciar nell’oblio la nostra “tradizionale” cultura millenaria. Ho avvertito questa degradazione di valori, ad iniziare dalla famiglia in senso “tradizionale”, che ricordo invece essere un motivo di orgoglio per i ruvesi di qualche tempo fa.
Con quale stato d’animo ha accolto la nomina di S.E. Mons. Girasoli a Nunzio Apostolico di Zambia e Malawi? Sono stata felicissima della notizia che ha portato in questa terra un mio illustre concittadino come Mons. Girasoli, perché è spesso difficile trovare persone del Sud in questi luoghi. Sarebbe opportuno uscire fuori dal nostro “nido” e rompere questo retrivo atteggiamento di immobilismo, perché la nostra gente con la sua innata “voglia di fare” può intraprendere più di chiunque altro un dialogo inter-culturale e religioso con queste popolazioni.
Quale messaggio finale vuole rivolgere a tutti i suoi concittadini? Voglio rivolgere un messaggio di pace e di speranza a tutti i miei concittadini. La pace del cuore non viene dall’intelligenza, dalla cultura, dalla posizione sociale, dalla ricchezza, è una immensa grazia di Dio. Sappiate in ogni momento della vostra vita ringraziare il Signore, ricordandovi sempre di coloro che non hanno nulla per vivere e sono afflitti dalla miseria e dalla solitudine. Il Signore benedica tutti voi! (Intervista a cura di Antonio Visicchio per La Nuova Città).
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