Ruvo di Puglia
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Ruvo di Puglia
REDAZIONE - 18/09/2022 (0 utenti)
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Posta sul primo gradino dell'altipiano murgiano, la città di Ruvo di Puglia è caratterizzata da un impianto bassomedievale definito da uno sviluppo urbanistico radiale. Il Museo Archeologico Nazionale Jatta rappresenta il punto di riferimento per l'archeologia classica del nordbarese: negli ambienti del neoclassico palazzo, progettato da Luigi Castellucci, sono esposti centinaia di reperti e vasi raccolti nel primo Ottocento dai fratelli Giovanni e Giulio Jatta. Il patrimonio museale consta principalmente di ceramiche geometriche della Peucezia e tra il repertorio vascolare di maggior pregio il vaso di Talos, così conosciuto nell'antologia archeologica, ossia un cratere attico a figure rosse del V secolo a.C. L'etimologia del toponimo Ruvo deriva dal greco Rhyps che significa 'torrente violento'. Gli antichi abitatori dell'area dove oggi sorge la città volevano indicare con la radice onomatopeica 'ρυ' una vasta zona lambita impetuosamente da diversi torrenti, gli stessi che hanno determinato l'orografia carsica del territorio. In coincidenza con la colonizzazione peuceta del rubastino la radice 'ρυ' si trasformò in 'Ρυψ', da cui il toponimo attuale. Gli abitanti erano invece chiamati con il termine 'Ρυβαστὲινων', da cui rubastini. La romanizzazione della Peucezia comportò la progressiva latinizzazione dei toponimi per cui 'Ρυβα' si trasformò in Riba e poi in Rubi, per diventare nel Medioevo Rubo. A partire dal 1863, il nome ufficiale del comune è diventato Ruvo di Puglia, per non confonderlo con l'omonima città lucana, Ruvo del Monte. Diverse testimonianze lapidee dalla morfologia amigdaliforme permettono di datare la primordiale frequentazione antropica nell'agro rubastino al paleolitico medio. Durante l'età del Bronzo il territorio fu abitato dai morgeti, un popolo ausonico, ossia una popolazione italica che abitava le regioni del sud Italia (specie la Campania appenninica), poi scacciato dagli Iapigi con l'avvento dell'età del Ferro. Il villaggio peuceta si stanziò sull'altipiano che si affaccia sulla via marittima per Molfetta, nell'area compresa tra le attuali pineta comunale e chiesa di San Michele Arcangelo. L'agro ruvese in età peuceta era molto vasto ed era dotato anche di uno sbocco portuario sul mare, chiamato Respa, dove oggi sorge la città di Molfetta. Con il paganesimo politeista Ruvo era protetta dalla dea Atena, come dimostrano alcune attestazioni numismatiche. La sconfitta di Taras nella guerra contro Roma segnò la fine dell'età ellenistica in Puglia, facendo così entrare Ruvo nell'orbita d'influenza romana. Con la romanizzazione della Pucezia Ruvo venne dapprima fregiata della cittadinanza romana, poi fu elevata a municipium, come la vicina Bitonto, configurandosi anche come importante statio sulla via Traiana. Secondo la tradizione agiografica locale già nel 44 d.C. Ruvo fu dotata della propria sede diocesana per volere dell'apostolo san Pietro, il quale nominò il primo episcopo, san Cleto, che successivamente sarebbe diventato papa. In età imperiale l'ager Rubustinus subì una contrazione territoriale a causa della nascita di Molfetta, Bisceglie e Trani, facendo perdere così il diretto contatto marittimo. Durante le incursioni barbariche la fiorente Ruvo fu ridotta ad un cumulo di macerie da parte dei Goti. Nell'altomedioevo si ascrive la rifondazione della città sulle pendici della collina originaria: in questo periodo fu prima conquistata dai Longobardi beneventani e poi fu depredata dei musulmani, che nel IX secolo fondarono gli emiri di Bari e Taranto. In risposta a tali frequenti incursioni la città venne dotata di una primordiale cinta muraria, munita di torri e quattro fornici urbici: Porta Noè (attuale via Veneto), Porta del Buccettolo (via Campanella), Porta del Castello (piazza Matteotti) e Porta Nuova (corso Piave). Nell'XI secolo la fortezza rubastina fu annessa alla contea di Conversano: il succedersi di frequenti lotte intestine per la gestione amministrativa del centro nordbarese sancirono la seconda distruzione della città. L'avvento degli Svevi produsse un generale miglioramento della civitas, sia dal punto di vista economico che culturale, in particolar modo con Federico II. L'ulteriore contrazione dell'agro rubastino, parte del quale fu concesso alle città limitrofe di Corato e Andria, risale a questo periodo. Durante la dominazione angioina e in particolar modo nel 1350, la città fu rasa al suolo per la terza volta a causa del saccheggio di Ruggiero Sanseverino. In seguito a questo evento le mura vennero restaurate e dotate di una nuova torre di vedetta, dall'emblematica icnografia gotico-napolatana 'a maschio', ossia la cosiddetta Torre del Pilota. Gli scontri per il dominio sul Regno di Napoli tra Francia angioina e Spagna aragonese sfociarono nella celebre battaglia di Ruvo. Lo scontro avvenne tra il 22 e il 23 febbraio 1503 tra l'esercito spagnolo guidato da Gonzalo Fernández de Córdoba, conosciuto anche come Consalvo di Cordova, e da Diego de Mendoza e l'esercito francese comandato da Jacques de La Palice. La battaglia si inserisce nel contesto della Seconda guerra d'Italia, determinata dallo scontro tra la factio angioina, capeggiata da Luigi XII di Francia, e quella aragonese, guidata da Ferdinando II d'Aragona, per la spartizione del territorio del Regno di Napoli. Durante gli scontri la città fu rasa al suolo per la quarta volta nella storia civica, in quanto costituiva per le truppe francesi, lì stanziatesi, una vera e propria piazzaforte. Nel 1510 Oliviero Carafa acquistò il feudo di Ruvo e la stessa città conobbe un periodo storico negativo. La maggior parte delle storiche famiglie patrizie ruvestine si estinsero e solo nel Seicento sorsero nuovi casati nobiliari che conobbero una particolare e florida condizione economica. Furono inoltre rafforzate ulteriormente le mura ma, nonostante il lungo periodo di pace, la popolazione era soffocata dalle angherie dei Carafa e dal governo tirannico degli stessi, che trasformarono la Torre del Pilota da strumento di difesa a prigione per gli oppositori. In epoca post-tridentina sorsero i numerosi sodalizi confraternali, dediti all'assistenza dei meno abbienti, alla dotazione dei sepolcreti per gli associati e per coloro che non potevano permettersi una degna sepoltura e soprattutto all'organizzazione dei riti penitenziali quaresimali e della Settimana Santa. Con l'abolizione napoleonica del feudalesimo il dominio dei Carafa venne definitivamente debellato. Dal punto di vista urbanistico la città mantiene la sua forma circolare entro le mura fino all'espansione extramurale avvenuta nel XIX secolo.

Data ultimo aggiornamento: 24/09/2018

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